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strani aloni sulle foto


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23 minuti fa, Nero ha scritto:

Non necessariamente. Anzi, è decisamente più probabile che la carta rimanga intatta, meccanicamnte, mentre sono assai più ammissibili dei blandi processi chimici di superficie. Le foto da pellicola, su carta, sono un concentrato di fenomeni chimici, a cominciare dallo sviluppo, in laboratori nei quali è facile che qualche schizzetto di liquidi attivi vada a finire dove non dovrebbe.

 

Se intendi in fase di stampa sì, certo che è possibile. Ho aperto questa discussione anche per sapere se a qualcuno che sviluppa foto per mestiere o per hobby è mai capitato e se corrisponde a quello che c'è lì sulle mie.

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12 ore fa, Freya ha scritto:

Se intendi in fase di stampa sì, certo che è possibile. Ho aperto questa discussione anche per sapere se a qualcuno che sviluppa foto per mestiere o per hobby è mai capitato e se corrisponde a quello che c'è lì sulle mie.

E' passato molto tempo da quando sviluppavo pellicole in camera oscura. Un'altra epoca. Incidenti di quel tipo erano rari, ma solo perché ci si sta attenti - un po' come quando si attraversa la strada, nel senso che teoricamnte sarebbe facile finire sotto una macchina, dato che sono tante e corrono forte, su strade strette etc etc.

Nonostante l'attenzione, comunque, un dito appena umido di qualunque cosa (un prodotto chimico, ma anche zucchero, saliva, un residuo di caffè, una lacrima, sudore) è sempre possibile, magari non in fase di laboratorio, ma successivamnte, da parte di chi maneggia la foto - la superficie della carta fotografica è per definizione sensibile e tale rimane, in qualche modo, in tutte le fasi della sua vita. 

Nelle raccolte di foto conservate, o ereditate, ho visto - senza farci molto caso, cioè senza approfondire - ogni genere di macchiette o di sfocature. Non so dire se ce ne sono state uguali alle tue - simili sicuramnte, ma le similitudini sono ingannevoli.  

 

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4 minuti fa, Nero ha scritto:

E' passato molto tempo da quando sviluppavo pellicole in camera oscura. Un'altra epoca. Incidenti di quel tipo erano rari, ma solo perché ci si sta attenti - un po' come quando si attraversa la strada, nel senso che teoricamnte sarebbe facile finire sotto una macchina, dato che sono tante e corrono forte, su strade strette etc etc.

Nonostante l'attenzione, comunque, un dito appena umido di qualunque cosa (un prodotto chimico, ma anche zucchero, saliva, un residuo di caffè, una lacrima, sudore) è sempre possibile, magari non in fase di laboratorio, ma successivamnte, da parte di chi maneggia la foto - la superficie della carta fotografica è per definizione sensibile e tale rimane, in qualche modo, in tutte le fasi della sua vita. 

Nelle raccolte di foto conservate, o ereditate, ho visto - senza farci molto caso, cioè senza approfondire - ogni genere di macchiette o di sfocature. Non so dire se ce ne sono state uguali alle tue - simili sicuramnte, ma le similitudini sono ingannevoli.  

 

Certo. Infatti la stranezza in questo caso non è tanto l'alone in sè. Se fosse stato uno, forse, non avrei neanche riproposto l'argomento, ma il fatto che siano ben tre su un rullino. La quantità è notevole e la posizione è curiosa. Sono appunto incidenti rari, e statisticamente è difficile farlo tre volte in una sessione. Tutto può essere però. 

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23 ore fa, Freya ha scritto:

Certo. Infatti la stranezza in questo caso non è tanto l'alone in sè. Se fosse stato uno, forse, non avrei neanche riproposto l'argomento, ma il fatto che siano ben tre su un rullino. La quantità è notevole e la posizione è curiosa. Sono appunto incidenti rari, e statisticamente è difficile farlo tre volte in una sessione. Tutto può essere però. 

Possiamo metterla anche in un altro modo.

La chimica nel processo fotografico è quanto ci sia di più simile alla magia, o almeno al mondo e al metodo degli alchimisti.

Da un foglio di carta bianca, nel buio rossastro della camera oscura - infernale, sottilmente demoniaco? - vedi emergere un'immagine della realtà, che è essa stessa un'altra realtà. E' sempre percepita, anzi aspettata, come un'altra realtà, simile a quella che era stata ripresa con la macchina, ma in qualche modo diversa. Un momento di Rivelazione.

Il momento della ripresa, con la macchinetta al collo, è quello della scienza positiva, solare - la limpidezza cristallina delle lenti, la fermezza metallica rassicurante nella meno della fotocamera, il clic deciso dello scatto. Tutto così corporeo.

Il rollino così impressionato riposa un'ora, un giorno, spesso anche un mese in un cassetto. Riposa, nel buio. Quel cassetto è un rito di passaggio in un'altra dimensione.

L'emulsione della pellicola, quella parte sensibile, è a base di argento. Lo stesso argento manipolato per secoli dagli alchimisti. Lo setsso argento col quale si faceva il chiodo da infiggere nel cuore dei vampiri.

Il momento in cui si entra, anzi si usa, si organizza la camera oscura, il processo stesso di sviluppo e stampa non è più scienza e tecnica solare e positiva. E' vissuto come manipolazione alchemica. Il calderone della strega. Le mani nello sviluppo, viscido, l'odore solfureo, e poi la svelamento di un'immagine che emerge dapprima come ombra, poi sempre meglio delineata.

La verità è che ci si aspetta sempre che quell'immagine ci dica qualcosa di più, che sveli un segreto. Si osserva la foto di un volto come non abbiamo mai osservato quello stesso volto nella realtà, alla ricerca di un dettaglio, un mistero svelato.

Anche senza aloni.

 

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