Diari di marzo
Caro diario,
Parcheggio con due manovre. A secco, così. Con quel brivido del rischio. Che è un attimo, e sono danni, che poi sono soldi.
Scendo dalla macchina che sembro una appena morta.
Le chiavi me le metto in tasca, sennò chi le ritrova.
Sono pallida, che sembro celeste.
Mi guardo nel finestrino e ho la faccia a metà tra appena uscita dal dentista e prima comunione dopo quattro anni di catechismo.
Non mi sopporto. Odio come cammino, il mio ginocchio dolorante, questa orrenda faccia uguale ogni giorno che le voglio bene giusto perché è la mia.
Odio piegarmi a prendere i fogli, la borsa, questo agglomerato di cose inutili che mi porto dietro tutti i giorni.
Gli altri pensano che in qualche modo io sappia cosa fare.
A volte mi guardano e devo avere la faccia di una che nonostante il catechismo, sa qualcosa delle cose.
La verità è che non me ne importa niente, quasi di niente.
E mi dispiace a volte dare questa notizia. Vedo che ci rimangono così. Ci speravano che mi importasse qualcosa.
Per questo scorro tra le persone con gli occhi sui piedi, cercando di non esserci, evitando ogni sguardo potenzialmente familiare e letale.
E’ il momento del giorno che preferisco.
Quando la giornata abbassa di botto le aspettative.. il tardo pomeriggio.
Quante ore sono che aspetto questo momento, forse centoventi.
Non ne potevo più della mattina con quella sua arrogante spocchia splendente.
Del primo pomeriggio, che sembra fatto per dirti dormi, assopisciti, rilassati, e poi ti da uno spintone verso la vita.
Mi ci voleva questo riequilibrarsi di luci e ombre, dei tram che si trascinano vicino ai marciapiedi e fanno scendere più persone di quante ne salgono, dell’ospedale che si illumina piano.. finestrina dopo finestrina, con questo grigiore speranzoso.
La fretta che diventa sera in una manciata di momenti che ti fermi ad allacciarti una scarpa ti alzi ed è già finita. Quello che è successo è successo, ormai è andata. Non ci si volta indietro. Non sarà mai più oggi. Le cazzate di oggi rimangono qui e non sopravviveranno a domani. A parte qualche eccezione che ha a che fare col furto o la frode fiscale.
Mi strizzo nel cappotto che sento il freddo salire dall’asfalto.
Il solito bar, la solita ragazza stanca con le occhiaie e la voglia di andare a casa sulla schiena che rassetta le sedie lanciandole una sull' altra.
Salgo le scale veloce, contandole tutte.
E’ finita la giornata, chissà domani.
No aspetta. Ma che l’ho chiusa la macchina?
Maledetta paranoica. Torno veloce indietro. Giù per le scale. Una due tre quattro. La ragazza mi guarda e pensa ma povera te.
Ecco le persone contromano. Di nuovo. Mi sembrano tutte vecchie e colorate di senape.
Un ragazzo non ha la giacca. Lo guardo veloce e lui mi riguarda come gli avessi detto sei scemo?
Ma fai come vuoi, ragazzo strano senza difese, stai senza giacca. Mica sono tua madre.
Ah che poi, oltre che pallida, apatica, e appena morta, sono anche madre. Non ci voleva.
Chiudo la macchina che è già chiusa. Mi riaggiusto la roba inutile tra le mani, questa armatura stupida senza senso, e riparto.
Io ero fatta per altro. Avevo grandi progetti per me. Tipo rimanere bambina per sempre, allevare rettili, fare solo quel che mi va come Pollyanna. E invece guarda qui. Sono io quella grande. Tocca a me tornare indietro per controllare di aver chiuso la macchina già chiusa. Che pensiero vano e inutilizzabile. Almeno ho davvero chiuso col catechismo.
Via con le scale. Una due tre quattro cinque. Il solito bar che ormai è chiuso. Il buio che si è preso la città.
E’ finita la giornata. Domani chissà.
-
4
-
1
2 Comments
Recommended Comments