Ti ho conosciuto che eri alla fermata di un autobus che non arrivava mai. Tu dicesti che se avessi acceso una sigaretta sarebbe arrivato subito. E alla tua prima boccata, comparve in lontananza.
Quindici anni.
Ogni tanto, ma tanto tanto, io e te prendiamo una penna d'oca maiuscola rossa, e copriamo con due righe di banalità una qualche esclamazione di stupore.
Dieci anni.
Perché sei ancora lì? Vedo le tue impronte.
Arrotoliamo la pergamena con cura, avvolgendola in un nastro di seta, rossa, e lo affidiamo ad una stupida bottiglia verde e vuota di birra, lanciandola pigramente tra i flutti della tua della mia della nostra vita.
Sette anni.
Arriverà quando arriverà, la raccoglieranno i nostri figli o i nostri nipoti, e ce la consegneranno, correndo e ridendo.
Quattro anni.
Romperemo gli indugi che non lasciano cocci, metteremo via il nastro rosso, per riutilizzarlo, forse, perché quello è il nostro nastro. Il nostro nastro rosso. Il legame.
Due anni.
Mi penserai, ti troverò, ci troveremo, o forse no. Un bambino, le tue ginocchia che facevano Giacomo Giacomo, poi a cena, anzi no. Ti mostravo il punto di arrivo, il limite matematico, e non vorrei essere offensiva ma hai presente quando metti una gallina col becco su una linea? Resta immobile. Proprio come rimanesti tu.
Un anno.
Ti accomiatasti con i tuoi soliti acronimi misteriosi. T. U. U. U. M.
Misteriosi ma non per me. Per noi. Tu Uccidi Un Uomo Morto. Lo so. Sei geniale.
Un giorno.
Non so come dirtelo, eri un cartello stradale colorato e lampeggiante come quelli di Las Vegas, e mi indicasti la via. La mia.
Anche se speravo fosse meno impervia.
Ora. Adesso. In contemporanea. Dissolvenza.
Non hai mai scritto niente sul Tarassaco però.
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