scemo è chi lo scemo fa
Avrò avuto undici anni.
Un pomeriggio di una stagione dimenticata.
Mia mamma stava mettendo a posto l’armadio in camera da letto mentre mio papà in sala leggeva un giornale bevendo beatamente il suo caffè, mentre io, intanto, ero impegnata a cercare di copiare i personaggi di Topolino.
Un borbottio rancoroso proveniente dal corridoio infranse l’inconsapevole e fuggevole serenità, mai abbastanza lodata.
Era mia mamma, e quel borbottio era come un tuono in lontananza che annuncia il temporale che si avvicina.
Lei, donna gelosissima di un marito piuttosto belloccio, era capace di imbastire dal niente di quelle scenate da scombussularti lo stomaco fino al primo giovedì del mese prossimo.
Il borbottio si articolo’ in parole comprensibili:
”Eeee iiii tuoiiii pantaloniiiii”
Dato che stava mettendo a posto l’armadio di mio padre, pensai: “stavolta tocca a te, bello”.
Continuai a disegnare facendo finta di niente mentre le mie orecchie diventavano parabole direzionabili.
Lui sobbalzò, poraccio. Non sapeva ancora perché, ma già profumava di quel senso di colpa anticipatorio di quando non sai ancora perché dovresti provarlo, ma lo provi”.
Lei. Bassina e terribile. Arrivo’ grintosa e si stagliò nel vano della porta, scandendo le parole, con una grinta che metteva paura.
“Dooo-ve sooo-no i tuooo-i panta-loooni deel compleeeto marron”
E lui, sobbalzò. Dopodiché imbasti’ una risposta che apparisse normale, ciancicando le parole
“ma... saranno lì, dove c’e la giacca”
”NON ci sono!” replicò lei, e continuò l’interrogatorio, autoritaria
“io adesso VOGLIO sapere che fine hanno fatto QUEI pantaloni”
”ma saranno lì, da qualche parte..” farfugliò lui, ormai completamente calato nella parte del topo insidiato dal gatto
”E invece NO, non ci sono, perché ho cercato dappertutto”
“Ma dove vuoi che siano..” insistette mio padre, sempre più sottomesso e intimorito
”Lo chiedo a TE!” e poi continuò ad incalzare:
”dove li hai lasciati? A casa di Qualcuna di Quelle, EH?”
Il colpo decisivo era stato sferrato. Le mie orecchie diventavano sempre più rosse mentre continuavo a fingere di disegnare, ormai pronta a ricevere il mio trauma infantile.
Ma mio padre a quel punto si alzò e la affrontò “eh certo, li ho lasciati da qualcuna adesso. Perché io sono uno scemo. Uno scemo che vive in una famiglia di scemi!”
Insomma voleva proprio essere sbranato. Prima di avventarsi sulla preda, mia mamma rimarcò le sue parole
“Ah! Adesso saremo anche scemi?”
”Sì, siamo tutti scemi!” Rispose lui ormai in preda ad un inarrestabile flusso creativo
”Io sono il primo scemo: perché sono andato a casa di quellala’, poi sono uscito, ho preso la macchina, ho guidato, e sono tornato a casa senza pantaloni, e non mi sono accorto.
E voi siete più scemi ancora: perché mi avete visto tornare a casa senza pantaloni e non mi avete detto niente”
Mi girai. Gli occhi lampeggianti fuoco di lei si opacizzarono, ma tenne l’atteggiamento e la grinta mentre camminava altezzosa andando dietro il tavolo da pranzo, facendo qualcosa come spostare soprammobili.
E in quel momento vidi qualcosa contorcerle la faccia. Era una risata soffocata.
Per non dare a lui la soddisfazione.
Una grandiosa drama queen.
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