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Il monastero


zarina

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Nel monastero l'aria era fresca e ferma. Ogni giorno scorreva lento come acqua trasparente che bagna la terra e si fa strada piano tra le colline. 
Le rondini, tagliavano il vento di primavera contente nelle mattine di aprile, fredde e leggere sopra le mura. Tutto, sembrava forte ed inesorabile. 

Se studiaste il monachesimo o scorreste le memorie dei vecchi monaci, leggereste di continuo che la vita dei monaci è talmente placida e garbata da alleviare i lamenti di qualsiasi anima inquieta. 

Non c'è rumore che non abbia il rassicurante tonfo delle campane o della tormenta dolce che fischia la sera dentro al bosco, al limitare della foresteria. 
Non c'è regola che non venga seguita ed eseguita ogni giorno, in un normale susseguirsi di attività coerenti e legate, accompagnate dalla luce diurna. 

Se la scrittura e la copiatura appaiono rilassanti, la lettura era il piacere più sublime. Le ore passate sui libri sono quelle più intime, più aspettate. 

La comunità si muove in un meccanismo perfetto di accordi e musica. L'ambiente pulito, odora sempre di quel caldo ruvido e sobrio che fanno le coperte di lana. I fratelli, buoni e accoglienti. 

È di questo che ha bisogno un cuore agitato?
Di pace. Di meditare tra i vecchi olivi e sospendere ogni giudizio mentale. Sentirsi utile, come una piccola ape che ogni giorno si sveglia, e sa che il suo corpo sarà ingranaggio di qualcosa di grande, e di giusto. Che ogni giorno sarà la preghiera, a guidarla in ogni volo, in un ordinato susseguirsi di piccoli eventi ognuno uguale a sé stesso, perfetto nella sua semplice ritualità. 

Ma dal bosco, non arrivano solo i caprioli affamati di erba tenera e mirtilli.
A volte, poco prima che il tramonto abbia baciato tutti con la sua luce vellutata, arrivano viandanti malati, affaticati, magri.. che vengono accolti nel mite abbraccio del gruppo, e curati con miele e preghiere. 

Dopo lunghi giorni di tosse incessante che rimbombava tra i corridoi, Nilo guarì. Gli occhi spalancati su quei giardini gli sembravano un paradiso inaspettato. 
La luce in convento era di una brevità struggente, ma bastava a tutto. 
Più per gratitudine che per capacità, divenne un tuttofare. 
Trascorsero i decenni, e quella luce tiepida brillava sempre sulla sua fronte, brillava e lo rendeva solido e saggio. Per la prima volta si sentiva a posto. La sua vita era diventata migliore di ciò che si era augurato. Così, in questo stato di grazia, prese i voti, e diventó un monaco come tutti gli altri. 
Ne aveva prese le movenze, la calma, e il tono della voce. Era lontana la sua vecchia vita, lontani i rumori molesti delle sue giornate, e tutte quelle complicazioni di cui si era preoccupato nella sua esistenza. 

Ma è proprio quando sembra che la salita sia diventata leggera, quando le gambe ormai vanno da sole, che la terra inizia a creparsi sotto le suole, e a segnarsi lentamente, fino a diventare instabile, sbriciolata. 

Arrivó insieme alla pioggia pesante e gonfia dell'alba, quella donna. Una contadina in fuga, con le labbra livide di freddo e i capelli increspati di rovi. Le vesti strappate dai giorni di cammino e la voce sgraziata da chi ha urlato senza essere sentita. 
Le donne no. 
Né contadine, né straniere. Le donne non possono godere della nostra beatitudine. 
Della serenità del chiostro, e del buon cibo che mettiamo sui tavoli. 
Nessuna donna aveva l'animo talmente sacro da avanzare di un solo passo verso la croce dell'antico monastero. Una di quelle regole senza incertezze che strideva in mezzo a tutta quella proporzionata amabilità. 

In quel cigolio, si insinuó la rottura. 
Le rondini non sembravano più liete, ma piccoli mostri neri che controllavano i cieli. 
Il bosco, non aveva più quella frescura balsamica che lo rigenerava, appariva ormai come un groviglio confuso senza sentieri. L'orto, quel campo bagnato di rugiada e fatica, pareva un cimitero senza bagliore. 
Quella sensazione di gioia immobile che lo aveva pervaso, era diventata una pietra dura sui pensieri che volevano vagare e non riuscivano più a rimanere sospesi a mezz'aria, fermi nel silenzio dei sensi. 
In quel cigolìo, Nilo raccolse la voglia di rompere quel silenzio pallido. 

Quella donna sporca e scomposta, aveva gli occhi viola, le clavicole sporgenti e le guance scavate dal digiuno. Ma aveva lo sguardo vivo di chi se la cava, le mani pronte a risolvere, l'umore e la testa sveglia di chi ancora sa pensare da sola. 

Per il cuore sopito di Nilo, era solo una donna. 

Per l'anima del monastero, una strega. 

Se poteste passare di notte sotto il monastero, sentireste ancora le grida di ghiaccio di quella donna. Murata viva tra le spesse stanze dei magazzini. Vedreste i corvi severi controllare le stanze dei novizi, e sorvolare velocemente la biblioteca. 
Addentrandovi tra i giardini, potreste incontrare un vecchio monaco, sorvegliare i resti delle sue stesse ossa, consumate dal tempo, ai piedi di una grossa quercia azzurra. 
Sentireste i lamenti spezzati dei monaci, che in circostanze misteriose, uno ad uno, morirono, orribilmente smembrati o impiccati, impalati nei campi e divorati dalle bestie. 

Sentireste ancora, quella pace sorda, che nonostante i pianti dei fantasmi, riesce ancora a coprire tutto. 


Liberamente ispirato dalla leggenda del monastero di Sicignano degli Alburni 

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Recommended Comments

Umberto Eco ti fa un baffo, ti fa, mia cara

Un racconto sontuosamente ricco e traboccante un vero e autentico talento votato alla scrittura. 

(in piena contraddizione col vedere le donne come esseri umani di serie B)

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